Le perplessità e le attese degli operatori…

Nella vasta letteratura sulla globalizzazione si è consolidato un certo rifiuto nel considerare questo fenomeno solo come meccanismo economico. Gli schemi preordinati sono fondamentalmente saltati, con il nostro Vecchio Continente che appare disorientato, disgregato e privo di una comunità d’intenti, con alcuni attori che sembrano ancorati ai riferimenti della società liquida di Zygmunt Bauman. Ormai abituati a repentini cambi di scena e continui botta e risposta, una alternanza tra colpi di sciabola e di fioretto, in fervente attesa di news, a volte, ci si sente disarmati, come nel Leviatano hobbesiano dove ad un certo punto gli individui rinunciano, per certi aspetti costretti a farlo, ai propri diritti a favore del sovrano che decide, garantendo la sopravvivenza del popolo. In realtà già da tempo i primi scricchiolii e segnali di una crisi preannunciata, rispetto ad un certo tipo di globalizzazione spinta, li stiamo vivendo, soprattutto nei contesti sociali.

Già da tempo i primi scricchiolii e segnali di una crisi preannunciata

Penso ad esempio alla Cina. Un territorio che sta cercando sotto la guida di Xi Jinping di aprirsi ad una visione internazionale con tutte le difficoltà che si intrecciano con una mentalità che si è consolidata con l’operato ed il pensiero di Deng Xiaoping, che seppur uno dei primi a sperimentare la riscoperta di una economia privata, affiancata ad una economia di mercato, ha mantenuto salde una serie di limitazioni vicine al motto ed all’idea di tenere sempre un basso profilo e di non avere fretta. Cambiamenti che hanno portato a nuovi assetti politici, economici e sociali, corroborati da alcuni limiti. Basti pensare ai territori interni oppure alla comunicazione rispetto ad accadimenti rilevantissimi non sempre puntuale e veloce.

Grande disorientamento

A volte, quando mi dedico agli approfondimenti che amo scrivere e condividere, mi capita di essere colpito da alcuni interrogativi. Credo che capiti alla maggior parte di noi. Soprattutto davanti ai monitor, prima di prendere posizioni sul mercato. Nel dubbio, si studia, si osserva, si approfondisce, attenzionando le news, i dati macro, senza perdersi i più importanti market mover, osservando i vari report. Insomma, è una professione complessa ma allo stesso tempo fonte di grande crescita personale, direi anche interiore, poiché ti spinge inesorabilmente a conoscere te stesso e la bellezza delle nobili tensioni che si sviluppano nell’effettuare delle scelte. Prendere decisioni che ti portano a conseguenze che non sono certo prevedibili su una sfera di cristallo.

Grafico Crude oil

Le aspettative di questa settimana, in riferimento alle decisioni della BCE e delle dichiarazioni di Christine Lagarde, erano alte. Il Presidente della Banca Centrale Europea, un pò sulla stessa lunghezza d’onda di Jerome Powell, ha cercato di rassicurare i mercati dichiarando di essere pronta a tutto per supportare i cittadini. Le metodologie e gli interventi evidenziano delle differenze rispetto alle scelte della Federal Reserve. Tuttavia, sia Wall Street che le maggiori piazze finanziarie europee non hanno certo brillato, condizionate dai dati macroeconomici davvero disarmanti.

Per quanto riguarda il petrolio, materia prima che ha subito e continua a subire i forti contraccolpi legati ad una forte crisi legata ad una domanda ridotta davvero all’osso, il 2020 è iniziato sulla scia e nella continuità delle antiche e farraginose questioni ereditate da più fronti, passando da un territorio libico instabile, fortemente condizionato da gruppi e milizie che storicamente hanno caratterizzato il tessuto sociale del popolo della Libia. Contraccolpi interni che hanno avuto ricadute sulla quotazione del greggio. Ricordo, tanto per citare un esempio, la reazione della National Oil Corporation, compagnia petrolifera libica, che ha condannato aspramente i voleri del generale Haftar di interrompere la produzione e le esportazioni per quei pozzi controllati dalle forze a lui fedeli, fino ad arrivare al clima incandescente in quel tratto tratto di mare tra il golfo Persico e quello dell’Oman, ed in particolare alla potenza strategica dello stretto di Hormuz, basti pensare che prima della scoperta degli enormi giacimenti petroliferi nei territori circostanti, proprio quei 150 chilometri di mare erano attraversati dalle navi che trasportavano i beni scambiati tra le civiltà arabe e quelle occidentali.

Ci sarebbe tanto da raccontare sul petrolio

Partendo magari dalla storia della guerra dello Yom Kippur oppure dal cambiamento radicale delle alleanze internazionali in occasione della svolta khomeinista del 1979 in Iran. Così come nel recente passato abbiamo assistito, in seguito all’attacco agli impianti di Saudi Aramco, ad una importante oscillazione sul prezzo del petrolio, quando in un batter di ciglia la lunga ombra della importante candela giornaliera configuratasi sul grafico è andata a “solleticare” i 65 dollari al barile. Per concludere, è proprio di questi giorni la notizia del botta e risposta tra la Casa Bianca ed il portavoce dello Stato Maggiore Generale dell’esercito iraniano. E pensare che dal 1953 fino alla fine degli anni settanta l’Iran rappresentava per la politica estera americana un punto di riferimento su quel territorio.

Ritornando alla situazione attuale, l’oro nero inizia a dare segnali concreti di rialzo, al momento della scrittura del mio approfondimento si trova in area 18 dollari al barile. Chiaramente le forti preoccupazioni continuano. Prima di ragionare sull’effetto montagne russe che abbiamo osservato sul grafico nella giornata di martedì, facciamo una brevissima narrazione degli accadimenti. L’ho scritto anche recentemente in un articolo…Se fosse ancora in vita MUNEHISA HOMMA mercante giapponese che si arricchì nella metà del 700 acquistando e vendendo riso al mercato nipponico di DOGIMA, inventore delle candele giapponesi, avrebbe sicuramente esclamato stupore rispetto al lunghissimo percorso in discesa effettuato dalla candela giornaliera del 21 aprile. Lo stesso interrogativo se lo saranno posto numerosi operatori, soprattutto quelli che si sono avvicinati alla lettura dei grafici in tempi recenti. Se alcuni accademici ritengono che il filosofo napoletano Giambattista Vico sviluppò molte delle sue capacità intellettuali a seguito di una caduta da una scala all’età di sette anni, l’auspicio è che molti che in questi giorni sono rimasti con il cerino in mano riescano a farne tesoro, amplificando gli approfondimenti, gli studi, adottando una oculata politica di money management, misurando le esposizioni con leve e size ridotte.

Perché dico questo?

Perché dopo il crollo del meno 300% fino al raggiungimento dei meno 37 dollari al barile, le posizioni aperte sul contratto WTI Future con scadenza giugno sono cambiate e notevolmente diminuite. Ricordiamo che U.S. OIL Fund, il più grande ETF al mondo avente il petrolio come sottostante ha deciso sostanzialmente di abbandonare il contratto in scadenza giugno, quasi a volersene sbarazzare, spalmando gli investimenti e le esposizioni sui contratti a partire da luglio fino al prossimo anno…Anche le banche cinesi pongono l’accento sulle perdite record degli operatori e dei risparmiatori. Molte delle stesse stanno sospendendo la vendita di ETF sul petrolio. Il contratto di giugno può farci rivedere lo stesso film di quello di maggio…è l’interrogativo che negli ultimi giorni molti si sono posti. Osservando l’Open Interest si nota come la maggiore esposizione è proiettata, spostata sul contratto di luglio. L’anticipo dei rollover e la chiusura dei contratti di giugno mettono in evidenza la tensione, l’incertezza e la pericolosità del suddetto contratto. Molto determinate le dichiarazioni di Alexander Novak, ministro dell’energia della Russia, secondo una stabilizzazione del mercato si vedrà nella seconda metà dell’anno. La domanda continua ad essere bassissima e lo stesso taglio previsto di 9,7 milioni di barili giornalieri in occasione della videoconferenza dell’OPEC Plus non ha nella maniera più assoluta generato ottimismo ed è servito davvero a poco. Una goccia nel mare. E la risposta dei mercati non si è fatta attendere. Anche in quella occasione sono emersi i colpi di sciabola tra i protagonisti del dialogo, che tutto è sembrato fuorché spinto da un sincero atteggiamento costruttivo. Gli interessi degli attori protagonisti sono ingenti. Alla lunga, a questi prezzi, non converrà neanche più ai sauditi, nonostante il loro minore costo di produzione rispetto agli altri Paesi, rispetto naturalmente alle compagnie dello shale poi americano che hanno costi maggiori. Ricordiamo che gli USA hanno notevolmente aumentato la propria produzione in poco meno di 10 anni ed attraverso il famoso e contestato Fracking sono arrivati a ben 13 milioni di barili al giorno. Oggi chiaramente la produzione si è ridotta… L’output nell’economia a stelle e strisce è stato tagliato da parte delle aziende nazionali. Da sottolineare la profonda crisi di queste compagnie.

La Casa Bianca ha deciso, ripiegando su alcuni principi di matrice keynesiana, di non abbandonare al loro destino il settore del petrolio.

Lo stesso Mike Sommers esponente della più grande lobby americana del settore petrolifero ha dichiarato la necessità anche per le industrie dell’Oil & Gas di usufruire della liquidità di cui hanno bisogno per sopravvivere alla crisi. siti di stoccaggio sono tutti in esaurimento, basti pensare che anche quelli riguardanti le riserve strategiche, utilizzati anche da alcune compagnie private, così come l’hub principale a Cushing in Oklahoma, così come le stesse petroliere in mare ecc ecc… Sempre in Oklahoma è stata sospesa la legge che impone di continuare l’attività per mantenere la licenza di estrazione, un atto che ha incoraggiato molti produttori a fermare del tutto le trivelle. E’ inoltre importante sottolineare che l’Energy Information Administration ha comunicato l’ultimo dato sulle scorte di greggio. Le stesse sono aumentate ma meno del previsto con circa 8,99 milioni di barili rispetto ai 10,16 previsti. Dal punto di vista tecnico, individuato il recente supporto testato dalle candele giornaliere nelle ultime sedute in area 10 dollari, il prezzo appare calamitato verso l’interno di una sorta di canale laterale visibile sul grafico daily dove i 20 dollari al barile che nei giorni precedenti, prima della scadenza del contratto Future Wti di maggio, hanno rappresentato un livello di supporto importante, attualmente indicano una resistenza. Naturalmente è necessario il verificarsi e l’inanellarsi di determinati fattori, attesi dagli operatori, con l’auspicio di uscire con ottimismo e serenità da questa vita sospesa, riabbracciando la quotidianità, non solo metaforicamente.

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